Ma perché deve essere sempre colpa nostra? In questo ultimo, folle anno di pandemia abbiamo vissuto tante situazioni assurde, ma la peggiore, la più ingiusta, riguarda lo scarico della responsabilità sulle spalle della gente comune.
Ci siamo sentiti dare degli irresponsabili perché abbiamo scambiato quattro chiacchiere con un conoscente all’angolo della strada, perché abbiamo fatto una passeggiata, perché ci siamo assembrati in centro dopo che il Governo ci aveva spinti a rilanciare l’economia grazie ai nostri acquisti.
Folli noi, che volevamo andare a sciare o a fare quattro passi sul lungomare, mentre le terapie intensive degli ospedali (quelle già massacrate da precedenti sciagurate scelte di Stato) erano insufficienti ad accogliere l’onda dei malati.
Va avanti così da un anno. Abbiamo da un lato la comunità scientifica che pare in totale confusione, travolta da responsabilità financo politiche, poiché la politica, quella vera, non sa fare il proprio lavoro. Così gli scienziati, esattamente come i politici, si dividono fra chi ci vorrebbe ancora sigillati in casa e chi sostiene che il “lockdown” (termine insopportabile) sia del tutto inutile, in quando il Covid è ormai endemico.
D’altro canto ci sono molti, troppi, giornalisti della stampa e delle Tv nazionali che fanno da megafono allo scienziato di turno, sperando in qualche “click” (altro termine insopportabile) in più, qualche copia venduta, qualche minuto strappato davanti al telegiornale. Il virologo X si alza al mattino dicendo che saremo tutti vaccinati solo fra tre anni e che forse sarà inutile, che le varianti sono fuori controllo e che, figurarsi, la gente deve finirla di andare sui navigli al sabato sera arrogandosi la libertà di camminare con un bicchiere di plastica in mano. E vai con i titoloni del tiggì.
Quello che si è instaurato, in modo più o meno consapevole, è un patto scellerato fra una informazione in caduta libera, da anni alla ricerca di un salvagente, una politica allo sbando, e una comunità scientifica da sempre in silenzio e improvvisamente abbagliata dai riflettori. Professoroni attempati, magari a un passo dalla pensione, cognomi mai sentiti prima dal grande pubblico, si ritrovano scaraventati su un palcoscenico mediatico pronto ad amplificare qualsiasi loro pensiero di passaggio, umore, riflessione. Forse non sanno nemmeno loro come gestire tanto successo e, per buon peso, visto che siamo in Italia, ci mettono dentro un po’ di politica, che non guasta mai.
Ecco dunque che, se sei un virologo liberista e amico della destra, le chiusure non ti piacciono. Se invece pendi dalla parte governativa, sei pronto a dire ogni giorno che le misure non sono abbastanza rigide.
Chi fa le spese di tutto questo? Chi si dibatte fra ansia e depressione, magari avendo perso il lavoro, senza uno straccio di prospettiva, aspettando il “ristoro” (ma guarda, un altro termine insopportabile) che non arriva o arriva in briciole? Noi. Noi paghiamo il conto: con l’incertezza economica, i nervi distrutti, la paura, il senso di colpa, l’angoscia per una intera generazione di giovani che si sta giocando il futuro a causa di una istruzione devastata dai divieti, noi che non possiamo varcare il confine regionale nemmeno nella solitudine della nostra automobile, noi che inseguivamo un aquilone in un prato, una domenica pomeriggio, e abbiamo sborsato 400 euro di multa.
Noi paghiamo, guardinghi nel timore che qualche vicino di casa crudele telefoni ai vigili urbani per dire correte, correte, lì stanno mangiando una pastasciutta in cinque!
La vita. Questi signori ci stanno salvando la vita, quindi dobbiamo ringraziarli, omaggiarli, onorarli, sentirci in colpa perché non siamo come loro, che hanno studiato per quarant’anni materie complicatissime mentre noi, incoscienti, respiravamo a occhi chiusi e braccia aperte il profumo di una nevicata.
Ci salveranno la vita fino a distruggerla e chissà, tutto sommato non se ne renderanno nemmeno conto.